nell’immediato secondo dopoguerra (potremmo in questa occasione
solo proporre una riflessione sulle sperimentazioni del cromatismo
aniconico di Forma1 o ancora su quelle pittorico-formali che hanno
caratterizzato l’esperienza astratto-concreta) ha proposto un’idea di
pittura pronta a pensare se stessa e, nello stesso tempo, a ricercare
nuove forme di comunicazione adatte a fare nascere un’infinità di
linguaggi pittorici. E ciò può essere dimostrato dagli stili che hanno
contrassegnato gli anni settanta. Espressività che immaginavano la
pittura al di fuori di una contestualizzazione espressamente riferibile
ad una mera rappresentazione o raffigurazione di un mondo ester-
no all’artista. S’è venuta così a idealizzare una pittura in grado di
raccogliere - e nel contempo esprimere - l’identità dell’atto pittorico.
L’artista ha così potuto assumere un ruolo da protagonista non solo
del fare, ma anche dell’essere. Il pittore è diventato ideatore e
attore dell’atto creativo, attraverso il proprio esistere, attraverso il proprio
essere artista. E ciò ha dato alla pittura un’identità linguistica in grado
di elaborare le sensazioni (spesso identificantesi nell’interpretazione
della luce mediante una riflessione sugli effetti cangianti del colore,
o sui riverberi della materia o ancora sulle vibrazioni dei segni) per
dare così identità all’atto della creazione di forme, della loro elabora-
zione mediante un continuo dialogo tra segno, materia, colore e spa-
zio: elementi di una fenomenologia artistica oggettiva.
Però le esperienze dell’astrattismo ci portano anche a pensare a una
pittura (o come tale ci può apparire a una prima visione delle ope-
re di Lucio Battistutta) come ad una singolare particolarità del reale.
Quest’idea di rappresentazione - o meglio di visione - pittorica se da
un lato va a identificarsi con una minima percezione del mondo reale,
dall’altro tende a mettere in luce la ricerca di una singolarità che deri-
va da una pittura più articolata e più vicina alla natura.
E credo sia un po’ questa l’ottica che ci porta a leggere le opere di
Battistutta: non una pittura astratta (benché in alcune opere non sia
veramente percepibile la figura), né una pittura figurativa, poiché il
fare pittura non intende descrivere la realtà, quanto esprimere le sen-
sazioni che appartengono alla percezione.
Parlando delle opere di Lucio Battistutta non si vuole certamente
scendere in vecchie problematiche relative all’astrazione o alla figu-
razione, ma piuttosto guardare al mondo della pittura come una ri-
cerca che gioca proprio sulla lieve distinzione tra un’interpretazione
del colorismo della natura e l’analisi del colore e della luce del pae-
saggio. Una combinazione dunque tra guardare e fare, tra percepire
e riprodurre.
L’artista ha quindi modo di sperimentare un suo cromatismo, fatto di
forti e vigorose pennellate e di decisivi contrasti; e in quest’esercizio
della pittura si materializzano opere nelle quali lo sguardo si perde
in un infinito immutabile, e dove le cose della realtà appaiono soffu-
samente perché mediate da velature o da sovrapposizioni cromatiche
su profondità prospettiche indefinite.
La pittura di Battistutta, proprio per queste sue intime percezioni, si
fa individuale e intima, e l’azione artistica – come quel fare che rin-
corre lo spazio e le visioni che in essa convivono – diventa così espres-
sione della soggettività che, pur originando da un campo ampio e
indeterminato, vive di un’identità progettuale. Si tratta però di una
progettualità che non intende trascendere il quotidiano e con esso la
percezione del mondo; anzi Battistutta propone un lieve, ma deciso,
rimando alla memoria; quasi una citazione fugace, a volte onirica, ma
intensamente sentita e provata della ricerca che accompagna la sua
esistenza.
Una citazione della forma, come un sogno più che un ricordo inserito
nel luogo della pittura, avvicendando ritmici segni e alternati da de-
terminanti sospensioni cromatiche, come improvvise attese.
Battistutta immedesima la propria pittura nell’essere e nell’agire arti-
stico, mentre la gestualità, seppur indirizzata e ragionevolmente ac-
compagnata, apre a più vaste e articolate direzioni di lettura, a volte
anche verso l’individuazione di una personale raffigurazione ricca di
emozionanti segni dalle frastagliate direzioni e dai materici cromati-
smi.
Con questo linguaggio Battistutta si identifica e si immedesima, e vie-
ne così a proporre un colorismo forte ed energico. Nello stesso tempo
fa dialogare i colori caldi con quelli più scuri, più tenui e più profondi;
mentre il gioco delle velature rimanda ad una lettura che introduce
ad un mondo espressivo più intimo, ma anche più riservato nel qua-
le si va a condensare una personale identità linguistica che si perde
nell’immaginazione astratta di un paesaggio irreale descritto da una
pittura dove tempo e spazio si perdono nelle dimensioni impalpabili
della memoria e della materiale percezione della realtà circostante.
Diego Collovini (marzo 2009)